Cultura e contemporaneità
Non esistono più soltanto le grandi correnti artistiche e letterarie, le grandi linee di pensiero. La cultura è diventata concava e convessa, è piena di curve. Non è facile stabilirne la direzione. Le tante piccole realtà non riescono a riconoscersi nell’intero. Ognuno cerca la sua collocazione nella grande biblioteca del passato ma non riesce ad uscire dal labirinto di definizioni troppo nette e definitive. Ogni artista, scrittore e pensatore è un po’ di quello e un po’ di questo.
Con l’avvento (e il dominio) dei mass media e di internet, la complessità ha assunto contorni indefiniti. Quasi che lo specchio che rifletteva la società (fatta degli uomini di cultura, di artisti, di scrittori ecc.) si sia frantumato. L’immagine che ogni parte indefinita riflette è quella dell’individuo. Talvolta l’ego domina e prendono il sopravvento; la spettacolarizzazione dell’opera e la divinizzazione di chi l’ha creata. Altre volte il messaggio è sociale, politico, impattante e prende totalmente il posto di chi lo trasmette. Altre volte ancora è l’interiorità ad essere trascinata fuori. Quasi fosse l’esigenza di comunicare, nell’epoca dell’incomunicabilità, a prendere il sopravvento. Nonostante i tanti mezzi di comunicazione, l’uomo sta perdendo il contatto con se stesso e con gli altri.

Quando la complessità domina sul dialogo
Quello che colpisce è la netta separazione tra cultura di massa e di nicchia. Da una parte le accademie, in genere le istituzioni, i grandi concorsi che spingono verso il flusso delle grandi correnti. E dall’altra le associazioni, i piccoli concorsi che promuovono gli autodidatti, gli eclettici, coloro che non rientrano nei ranghi. Ognuno vive nel proprio ambiente senza riuscire a superare le mura dei confini. Da una parte gli attori del cinema e dell’altra gli attori teatrali. Da una parte i volti noti e dall’altra quelli meno noti, ma comunque conosciuti. Quasi esistessero due livelli di realtà differenti.
Lo scegliere da che parte stare sembra richiedere un sacrificio, in realtà si tratta prevalentemente di seguire la propria natura. Esiste infatti chi è predisposto a piacere alla massa e chi invece no. A nessuno viene tolta la soddisfazione, la libertà di essere quello che si è. Non sono la notorietà e la ricchezza a rendere felici, è perseguire la propria più intima natura ad essere importante. Nonostante questo il sogno della notorietà appartiene naturalmente a chi non rinuncia ad un desiderio d’immortalità insito in ogni creativo. Desiderio che appartiene anche ai “noti”. Consapevoli della volatilità e della volubilità della massa, timorosi di appartenere soltanto ad una “moda passeggera”.

Commistione e comunicazione
Portare fuori e rendere visibili le piccole realtà, farle confrontare con quelle più grandi, gioverebbe ad ambedue le parti. La presa di consapevolezza di punti di vista differenti porterebbe la cultura ad essere meno elitaria e maggiormente vissuta. Al grande pubblico vengono propinati troppo spesso gli stessi intrugli, facili da digerire e altrettanto facili da dimenticare. E quante prospettive nuove vengono perdute solo perché condivise con pochi?
Inoltre se venisse mostrata una maggiore varietà l’interesse verso la cultura si riaccenderebbe. Un’opera d’arte, un libro, un testo filosofico se “quello giusto” può portare una persona ad appassionarsi. Può addirittura riaccendere la curiosità che latita tra la folla spenta. Il potenziale per migliorare la situazione c’è, ma mancano l’accessibilità e la comunicazione. Manca l’interesse di chi avrebbe il potere per realizzare un progetto del genere. Così l’incomunicabilità tra individui si riflette anche nell’incomunicabilità tra i diversi ambienti culturali. E su questo grande gioco, di frammenti di specchi e di riflessi incompleti, non resta che “riflettere”. Cercando quella strada che conduce dietro la propria immagine, a contatto con la propria natura più autentica.
Il dialogo è la vera rivoluzione culturale – Zygmunt Bauman